Marmolada: la via “Attraverso il Pesce”

un oceano dove navigare a vista
un oceano dove navigare a vista

Non capita tutti i giorni di poter realizzare i propri sogni, ma qualche volta accade. La via “ Attraverso il Pesce” per me e molti altri alpinisti rappresenta un punto lontano, un obbiettivo forse irraggiungibile, l’aspirazione massima. Fin da bambino sfogliando libri e riviste di montagna avevo due grandi desideri: andare in Verdon ( avevo visto il libro di foto di Patrick Berhault) e fare il “Pesce”; in Francia sono stato 3 anni fa mentre in Marmolada, giovedì e venerdì (11-12 agosto 2011) assieme a Fabiez “gigen” Gigone, abbiamo ripetuto la mistica “Weg durch den fish”. Mi sento fortunato, il sogno è diventato realtà. In due l’abbiamo fatta, in due la raccontiamo.

la parete della Marmolada, la linea blu segna la via "Attraverso il Pesce"
la parete della Marmolada, la linea blu segna la via "Attraverso il Pesce"

MARCO:

Ormai dopo molte uscite ho imparato a dormire tranquillo qualsiasi cosa vada a fare il giorno dopo. La notte al Falier porta consiglio, concentrazione e un sacco di energia potenziale che si accumula nel mio corpo, pronta a esplodere. Dalla mente questa energia inizia a diffondersi lentamente verso tutto il corpo, la via è iniziata quella notte.

Abbiamo effettuato la ripetizione salendo il primo giorno fino al primo tiro dopo la nicchia, mentre il secondo, dopo aver bivaccato nella nicchia, abbiamo risalito le corde fissate il giorno prima e abbiamo continuato fino in cima alla punta d’Ombretta.

Fabiez impegnato nel diedro svaso
Fabiez impegnato nel diedro svaso

FABIO:

La parete d’argento è fatta di onde, abissi e pericolosi momenti di bonaccia. Per la sua omogeneità e impossibilità ad essere decifrata a lungo raggio ti costringe alla dedizione del dettaglio: i buchi per le dita e le rughe per i piedi, anzi le loro più assurde combinazioni, è il rebus che occupa costantemente la mia mente.

La via è stranamente graduale: i primi 11 tiri sono accessibili e le difficoltà aumentano man mano lasciandoci divertire e attirandoci come un canto di sirena sempre più verso l’alto.

MARCO:

L’itinerario segue una linea ideale che molte volte è eterea, sottile e nascosta. Un filo di Arianna trasparente, da seguire e trovare grazie ai giochi che la luce compie nei buchi presenti in un mare di placche grigie. Koller e Sustr, gli apritori, hanno fatto un capolavoro, un arrampicata per quegli anni (1981) visionaria. Le  idee e i modi di progressione su quella parete sono stati sensazionali.

il tiro che arriva nella nicchia, occhi lucidi.
il tiro che arriva nella nicchia, occhi lucidi.

FABIO:

Il primo 7a in traverso mi dà la sveglia, ma è ancora un tiro atipico: come l’anno scorso il passaggio d’ingresso non mi riesce e Marco prende il mio posto. Poi ancora una placca difficile da leggere, che impedisce allo sguardo di capire quali saranno le reali difficoltà di questo viaggio.

Siamo in sosta e davanti a noi c’è il famoso diedro svaso. Alla fine non si dimostrerà il tiro tecnicamente più impegnativo, ma sicuramente il più affascinante. Venti metri di placca verticale sormontata da un’onda ad arco che va a chiudersi verso destra fin dentro al Pesce: se la sapremo cavalcare potremo finalmente entrare nella pancia della balena e iniziare il nostro viaggio di due giorni verso la cima.

MARCO:

Le placche costringono l’arrampicatore ad effettuare movimenti molto tecnici, una scalata discontinua che alternava fluidi movimenti a secchi boulders, bloccaggi e passi molto lunghi. Difficile veramente arrampicare tranquilli. Quando su un tiro di VIII i passaggi sembrano filare via lisci allora è il momento di preoccuparsi, perché arriva una frustata che parte dalla mente e arriva alle braccia, una legnata che ti tiene sempre allerta, in attesa. Questi sono i tiri dove è la via che ti prende a schiaffi e tu sei solo in grado di porgere l’altra guancia e affrontare il tiro successivo. Un piccolo burattino in balia della parete.

ancora sul diedro
ancora sul diedro

FABIO:

L’alba sembra non arrivare più; sono seduto nella stessa posizione da 7 ore e ho il culo bagnato dall’acqua che cola dalle pareti della nicchia del pesce. Marco è steso nel sacco a pelo, sembra star bene; cerco di immedesimarmi col pensiero nella sua posizione per ricavarne comodità, ma non funziona. Sbatto le mani sulle gambe per riscaldarle, mi sposto di cinque centimetri per illudermi di cambiare situazione, ma è sempre la stessa. Mi alzo per muovere le gambe: posso fare un tragitto di tre metri e mezzo da una parte all’altra e approfitto per pisciare; le scelte sono due: su Fram al centro o su variante Italia dalla mia posizione. E’ sempre notte fonda e sono nel dormiveglia.

MARCO:

Il mio primo bivacco in parete. Che dire? Prima notte nel pesce, dove i grandi come Manolo,Mariacher e compagnia bella hanno dormito durante la prima ripetizione. Un emozione unica anche se ovviamente io e i personaggi prima citati non abbiamo niente a che fare: è stato come un topo che dorme dove ha dormito l’elefante. Ma anche il topo ha le sue emozioni no? Emozioni che fanno venire gli occhi lucidi. Ricordi che rimarranno per sempre.

uscendo dalla nicchia
uscendo dalla nicchia

FABIO:

Improvvisamente, in un tempo che mi sembra un istante, arriva la luce, Marco si sveglia e mangia i biscotti, mette via il sacco a pelo, piscia e si prepara il materiale e mi ripete più volte una tattica del tipo chi parte primo con i prusik arriva su stanco quindi fa sicura o chi deve scalare il tiro deve essere caldo quindi meglio faccia i prusik per secondo quindi chi parte? …sono ancora seduto e non ci capisco niente. Parte Marco con i prusik e si fa anche per il tiro successivo.

MARCO:

Scalare sui chiodi normali fa sempre un po di formicolio al sedere, ma quando questi diventano pochi, poco sicuri e lontani il formicolio si trasforma in qualcos’altro. Si può integrare con friends e nuts, ma in ogni caso la qualità degli ancoraggi, comprese alcune soste, non sono del tutto affidabili. Diciamo che ai miei quasi 90 chili non sono stati permessi troppi errori. Era qualcosa di simile a quello che mi aspettavo dalla via, ma ogni tanto avrei volentieri cambiato aspettativa.

nella nicchia
nella nicchia

FABIO:

Il peso di restare in sosta e l’ansia che il tiro dopo tocca a me. Non ce la faccio, mi sento prosciugato. La testa ha girato troppo, si è arrovellata su come trovare un pensiero per arginare il senso di vuoto e la paura di cadere, anzi la paura di non sapere dove cadere. Qui, a differenza del mare non si affonda se si sbaglia, ma si cade e cadere non è un istante, ma un breve lasso di tempo dove la mente ha sufficiente tempo per capire, ma non abbastanza per reagire. Devi solo aspettare che tutto finisca e ti fermi. Continuo a dirmelo, ma non basta.

Quello che è chiaro è che siamo qui per provare, con ostinazione, ma sempre al limite del fallimento; tento di eliminare la paura con metodi improvvisati per attraversare quel mare piatto ma feroce dove ogni buco può essere la nostra isola di tranquillità o, al contrario, la più pericolosa scoperta.

pronti per la notte
pronti per la notte

MARCO:

Ci siamo. Siamo fuori, questa volta arrivare in vetta ha un sapore tutto particolare, anche se immersi nella nebbia, anche se provati nel corpo e nella mente , è come se l’anima climber dentro di me scappasse via dal corpo perché ha bisogno di riposo. Come se si fosse elevata verso altro.

sul secondo tiro dopo la nicchia
sul secondo tiro dopo la nicchia

FABIO:

Ho discusso spesso, giorni dopo, sulla necessità per alcuni di percorrere questa via totalmente in libera come unico modo etico di scalata contemporaneo. Ma credo che questo sia solo uno dei diversi atteggiamenti igienisti di chi lascia la mente a distrarsi davanti alle riviste, destinato a cambiare col tempo (e con le riviste). Il mio Pesce non è stata una prestazione sportiva (inclassificabile dopotutto) perchè attraversare è sinonimo di vivere e nella vita non credo nella competizione.

gli ultimi tiri per arrivare in cima
gli ultimi tiri per arrivare in cima

“Che si avverino i loro desideri, che possano crederci e che possano ridere delle loro passioni. Infatti ciò che chiamiamo passione in realtà non è energia spirituale, ma solo attrito tra l’animo e il mondo esterno; e soprattutto che possano credere in se stessi, e che diventino indifesi come bambini, perché la debolezza è potenza e la forza è niente” dice lo Stalker di Tarkowskij, e mi ripete la balena nel dormiveglia

contemplazione delle ultime luci, prima di una notte magica
contemplazione delle ultime luci, prima di una notte magica

buone scalate

Marco “rasta” Milanese